29.10.08

Lettera ad un bambino mai nato



Oggi una tal Rosa P. mi ha colpito con una frase "La tristezza sta diventando il mio ossigeno". Raccontava, in una lettera aperta ad un magazine molto popolare, la sua esperienza: ha abortito perché il suo compagno non se la sentiva di avere un figlio. Dopo due mesi, lui l'ha lasciata per tornare dall'ex moglie, condannandola a sopravvivere da sola ad un susseguirsi di giornate riempite solo da un corrosivo senso di colpa verso quella creatura, a cui lei ha rinunciato per un amore insensibile e sciocco, che non ha saputo capire la profondità di quel gesto. Una madre che rinuncia a suo figlio per un uomo, che di quel figlio non ne voleva sapere.
Se questa stessa storia mi fosse stata riportata da qualcuno, probabilmente, conoscendo il mio carattere, avrei commentato, inflessibile quanto estranea al suo dolore: "E' lei che ha preso la decisione. E ora se ne lamenta? Poteva pensarci prima di uccidere suo figlio per fare l'adolescente adorante..". Ma leggendo di prima mano, nero su bianco, il dolore e la disperazione che trasuda da ogni sua parola, mi è impossibile formulare un qualsiasi tipo di giudizio: non ha fatto bene, non ha fatto male. Ha agito in base ai propri sentimenti, come troppo spesso le donne tendono a fare, nella romantica quanto ingenua convinzione che affidarsi al proprio istinto sia la cosa più giusta da fare. Beh, purtroppo, Rosa P. ha scoperto a sue spese il sapore amaro della disillusione.
Ma in tutta la lettera, il passaggio che mi ha colpito davvero è stata quella frase "La tristezza sta diventando il mio ossigeno". Non usa paroloni o strane figure retoriche. Sono termini semplici, concetti banali. Eppure, colpisce come una secchiata d'acqua fredda. In sette parole esprime la miseria della sua esistenza: vive di dolore, si nutre di dolore, respira dolore. E' agghiacciante. Poteva dirlo in mille altri modi: sto male, piango sempre, sono finita in un vortice di depressione, sto sprofondando nel dolore. Invece, lei l'ha detto così. E non credo che una donna che sta passando quello che sta passando, anche se scrive ad un giornale, si metta ad elaborare espressioni poetiche per infiorettare i suoi sentimenti. Non voleva essere poetica, non voleva essere delicata o romantica. Probabilmente sperava solo di trovare un qualche conforto nel condividere con emeriti sconosciuti un peso troppo grande da portarsi dietro da sola.
E riesco quasi ad immaginarmela, seduta al tavolo della sua cucina, in quell'appartamento così violentemente vuoto, mentre scrive quelle parole.. Il suo sguardo si perde nel vuoto, cade sulla finestra aperta.. e lei realizza che non ne percepisce la frescura, non sente salire nelle narici il sollievo temporaneo di quell'anelito pulito che viene dal suo giardino. Realizza che l'aria che respirano tutti, tutti coloro che continuano a vivere una vita "normale", non è più la stessa che respira lei. Ormai, la tristezza sta diventando il suo ossigeno. E non ci sono molte vie d'uscita, perché non si può tornare indietro, non si può cambiare il passato. Anche se quella decisione, presa per troppo amore, le ha distrutto la vita.
E non solo la sua. E questo non se lo perdonerà mai.

20.10.08

I can't get no satisfaction


L'insoddisfazione è una brutta bestia. Corrode dentro. Ti lascia sempre con la bocca mezza aperta e le palpebre che sbattono a vuoto, con un'espressione imbecille sul viso.. in attesa di avere qualcosa che riempia gli occhi e la bocca.
Ti guardi intorno, scruti visi e sguardi. Ti accendi speranze come sigarette, una dopo l'altra. E, come sigarette, si spengono, finiscono prima che tu abbia fatto in tempo ad abituartici. O forse no, forse è proprio perché ci si abitua subito, che la delusione è tanto forte quando finiscono per terra, concludendo gloriosamente la loro breve ed insignificante esistenza, schiacciate dalla suola generosa di qualcuno. Perché c'è sempre qualcuno pronto ad assicurarsi che non brucino più. Qualcuno che ti strattona per riportarti alla (triste) realtà. Qualcuno disposto a darti lo schiaffo in faccia.
L'insoddisfazione è una brutta bestia, perché la maggior parte delle volte, a dire il vero, non avrebbe neppure motivo di esistere: sì, certo, può darsi che la mia vita abbia spazi vuoti.. ma chi non li ha? Chi può dire di avere la fortuna di un'esistenza realmente ed interamente piena? Qualcosa ci manca sempre, non saremmo essere umani altrimenti! Se non sentissimo il costante (ed irrinunciabile) anelito a "qualcosa di più" probabilmente perderemmo un po' della nostra sana voglia di vivere.
Ma allora che cos'è che scatta di diverso, alcune volte?
L'insoddisfazione è una brutta bestia, perché annebbia il cervello, travisando la relatività delle cose. Mi inganna convincendomi di una ragione tanto fittizia quanto incrollabile, che mi spinge nella strenua difesa delle mie posizioni. Paladina delle mie certezze, contro tutto e tutti, contro un mondo che, diciamocelo, delle mie certezze non si pone neppure il problema!
Una lotta contro i mulini a vento, dunque, contro nemici invisibili. Nati nella mia mente dal profondo e disperato bisogno di scaricare su qualcuno una rabbia che, forse, non avrà motivo di esistere, eppure c'è, e non riesco a tacitare.
Oh, so già che passerà, che si scioglierà come neve al sole. Lo so benissimo. Ci sono passate tante di quelle volte!
Ma la cosa, ora come ora, nell'infuriare della tempesta di questi sentimenti negativi, non mi è di nessuna consolazione. Anzi, se possibile, riesce solo ad aumentare questo snervante e corrosivo senso di frustrazione che mi rende astiosa verso chiunque, perchè chiunque rappresenta una minaccia, un nemico.
Chiunque potrebbe essere lo stronzo che ha spento la mia sigaretta.

10.10.08

La diga delle lacrime

Non mi era mai capitato prima.. forse perchè non mi ero mai trovata nella situazione di provare un dolore così forte: di quelli che ti tolgono il fiato, ti straziano dentro, ti lasciano senza un appiglio, come un disperato in mezzo all'oceano. Piangi, vorresti urlare, se solo la buona creanza lo permettesse. Ti rendi conto che è l'unico strumento a tua disposizione per lenire il dolore, al momento: piangere. Non puoi, non riesci a fare altro.
Poi ti riprendi, respiri profondamente, assapori per un poco quella sensazione di svuotamento.. Per un po' dura, ti dà il tempo di riprenderti, di occuparti del dolore altrui, di rimettere ordine nei pensieri e tornare lucida. Poi l sguardo cade, autolesionista, su una foto, una dedica, e rinizi a piangere
E vai avanti di questo andazzo, ora dopo ora, giorno dopo giorno.

Poi, il blocco. Dopo quattro o cinque giorni in cui mi sono crogiolata, mi sono quasi beata del mio dolore, vi ho scavato un conca che si adattasse perfettamente alla mia forma.. dopo aver trovato un mio equilibrio nel mio dolore, il blocco.

E ora non so che fare. Perchè le lacrime non escono più, perchè non sento più arrivare dal mio cuore lo stimolo ad urlare. Non sento lo strazio, come se una placenta invisibile lo tenesse bloccato all'altezza del mio stomaco, senza darmi modo di sfogarlo ancora. E vorrei, perchè lo sento fermo lì, ed è fastidioso, è fuori luogo, non mi dà modo di stare bene.
Almeno, non realmente. E' una calma apparente, una tranquillità fittizia, nata dalla necessità di tornare alla routine, di sopravvivere, pantomima del vivere di prima. Anche se la cosa mi fa sentire sporca, misera, irrispettosa verso ciò che fino ad una settimana fa non mi faceva prendere sonno di notte, che popolava i miei dormiveglia. Il primo pensiero quando aprivo gli occhi, l'ultimo quando provavo a chiuderli. E costante, nell'arco dell'intera giornata.
Dov'è, ora, tutto quel dolore? Perchè lo nego a me stessa, in un processo istintivo di autodifesa che, lo so già, mi porterà solo ad un vicolo cieco?
Perchè il dolore non lascia scampo. C'è. E se sembra scomparso, in realtà si cela nella meschinità della pavida quotidianità, nel "tirare avanti"..
Mi aspetta al varco, lo so già, ma ora come ora non credo di poter fare altro che camminare.
E quando arriverò al varco, beh.. forse, piangerò. Di nuovo. Finalmente.