13.12.08

E se..

E se avessi sbagliato tutto?
Se per anni mi fossi aggrappata, tenacemente avvinghiata, a sogni che erano solo scudi dall'incertezza?
Se il mio fantomatico e tanto sbandierato "sogno nel cassetto" non fosse altro che un paravento, per non pensare ad alternative?
E' davvero così?
Perché così scarsa motivazione, così poco impegno nel perseguire i miei obiettivi altrimenti?
Perché tanti dubbi, su una meta per il cui conseguimento non ho voluto guardare in faccia a niente e a nessuno?
Perché, se chiudo gli occhi e mi immagino tra 10 anni, la visione di me nel mondo che ho sempre sognato non mi riempie di gioia.. anzi, a dire il vero, non mi esalta nemmeno un po'?
Non posso aver sbagliato tutto. Non io. Non io, che vado avanti con la mia idea da quando ero poco più che una bambina, ostinata come un mulo, contro la mia stessa famiglia, che pur alla fine ha ceduto, arresasi di fronte a tanta convinzione.
Possibile che abbia fatto un errore così madornale? Possibile che mi sia fermata alla prima cosa che mi è venuta in mente, e da lì basta, chiuso, non abbia più voluto pensare ad altro?
Perché pensare fa venire dei dubbi, e i dubbi ti fanno perdere di vista quelli che da sempre sono i tuoi punti di riferimento.. Meglio indossare il paraocchi, come i cavalli, e tirare dritto.
E se fosse? Se davvero avessi sbagliato, come farei a dirlo a tutti?
L'unica persona che ha sempre creduto in me ed ha sempre avuto la più cieca fiducia nelle mie convinzioni, non c'è più. Ed io ho fatto una promessa a quella persona. Le ho detto che ce l'avrei messa tutta, che mi sarei impegnata per arrivare alla vetta, perché lei si era fidata di me, ed io non l'avrei delusa.
Non sono il tipo di persona da soap-opera, che non cambia le proprie decisioni per la promessa fatta ad una persona che non c 'è più. Non per mancanza di rispetto verso quella promessa, ma per il semplice motivo che lui avrebbe capito. O capirebbe, se può farlo..
Sto divagando.. ma la promessa mi è tornata in mente adesso, dopo più di due mesi. Che vuol dire questo?? Che non tengo in considerazione quella persona? O quella promessa? O entrambe.. Cazzo! Proprio adesso dovevo ricordarmene??
Che cosa posso fare? Che cosa dovrei fare, adesso? Ho le mani legate, sono ad un passo dal primo traguardo e non mi arrenderò adesso, non sarebbe da me. Ma poi? Superato quel primo tobiettivo, finiranno le certezze. E dopo, vedo solo il vuoto. E la cosa mi spaventa. Se almeno avessi la forza della volontà, dalla mia parte, lotterei per cioò in cui credo. Ma se nemmeno io so più quello che voglio, che cosa posso fare?

16.11.08

Fantasmi dal passato

Sono dell'opinione che il passato torna sempre. O, meglio ancora, che non se ne va mai, non si allontana neanche un attimo. A volte lo senti di più, a volte di meno. Tutto qui.
Questo vale soprattutto quando stiamo parlando di periodi, in quel passato, che hanno avuto, e forse hanno tuttora, un peso notevole nell'arco totale della nostra esistenza. Notevole per la durata, notevole per la profondità. Notevole soprattutto per i segni che ci ha lasciato dentro. Perché quelli, i segni, sono molto più incisivi dei ricordi. La stessa parola "ricordo" mi dà l'idea di qualcosa dai contorni sfumati, ingiallito, come una foto d'epoca, con i bordi un po' rovinati dal tempo.
I segni sono un'altra cosa. Positivi o negativi che siano, hanno contorni ben netti, definiti, come il taglio di un coltello.
Si sarà capito che quelli a cui sto facendo riferimento io, e che hanno ispirato queste righe, non sono proprio di quelli che rievochi con il sorriso sulle labbra. Come il taglio di un coltello, fanno sempre un po' male. Li chiudi nello sgabuzzino delle cose "a cui evitare di pensare", e vai avanti per la tua via, cercando di crearti meno problemi possibili.
Io, i miei segni, li ho messi via con ordine in una bella scatola a forma di cubo, rosa confetto. E l'ho piazzata là, sul ripiano più alto della mia libreria. Quello più lontano.
Ma oggi è capitato che la scatola si sia aperta di sua sponte, senza che io glielo avessi chiesto . Come ho reagito? Sono rimasta spiazzata. Ho sentito immediatamente il classico nodo in gola da "E ora che faccio??".
Già, e ora che faccio? Ho accettato. Accettato di sapere perché il passato tornava a cercarmi, pur consapevole del fatto che così accettavo di incamminarmi su un campo minato. Mine di questioni irrisolte, mine di rancori, mine di lacrime non versate, mine di delusione, mine di codardia.
Non so cosa ci caverò da questa storia. Se riaprire vecchie ferite serva a qualcosa o sia solo sintomo di uno sciocco autolesionismo. Starò a vedere.
Ma d'altronde non ho potuto farne a meno.
Ora la scatola è aperta. Chissà se e quando si richiuderà, chissà come. E chissà se starò meglio o peggio. Chissà..

10.11.08

Una musica può fare

Non sono una musicista. E, molto probabilmente, mai lo sarò. Il massimo a cui potrei arrivare, forse, è imparare a strimpellare la chitarra. Ma quello lo sanno fare in tanti..
La musica mi piace, sia chiaro. Ho la curiosità di scoprire generi che non conosco, seguire consigli di chi se ne intende. Mi piace osservare, ascoltare, giudicare, farmi un'idea mia dalle idee altrui. Tuttavia, la mia è sempre stata una posizione "esterna", per forza di cose. Non l'ho mai vissuta, la musica. Non l'ho mai sentita scorrere nelle vene.
Ma ieri sera, per la prima volta, ho tremato: sentivo proprio i brividi salirmi su per la schiena. Percepivo, come fosse reale, il ritmo attraversare il pavimento come una scossa, e poi percorrermi, dai piedi alla testa. Non potevo fare a meno di sbattere le palpebre ogni volta che le bacchette colpivano i piatti, tanta era la violenza che ne sprigionavano. Sembra assurdo, ma ne ero quasi spaventata. Una Fender Telecaster da una parte, suonata splendidamente. Un basso dall'altra. Davanti, la chitarra acustica. E poi la batteria, splendido animale. Mi ha incantato. Il mio piede seguiva istintivamente lo scandire del suo ritmo.
Quella piccola stanza pareva non poter contenere tanta potenza. Ed io, in mezzo ad essa, avrei potuto dirci tanto come una mela su un albero di pere. Eppure no, per la prima volta, non mi sono sentita "esterna". Non stavo ascoltando la loro musica. La stavo vivendo.
Chi legge si domanderà che mostri sacri della musica io abbia avuto l'onore di ascoltare, considerato un elogio tanto pomposo. No, nessun fenomeno. Ragazzi di provincia, ventenni o poco più. Bravi, senza dubbio. Ma, come ha detto uno di loro, mille ce ne sono sotto e mille ce ne sono sopra. E, soprattutto, io sono l'ultima al mondo in grado di poterli giudicare, data la mia totale ignoranza in campo musicale.
Quindi il mio non vuole essere un commento "professionale", lungi da me. Solamente l'espressione di un'emozione nuova. Che mi ha fatto battere i denti (beh, forse il fatto di trovarsi in un garage non riscaldato ha inciso... dettagli..)

2.11.08

Che rumore fa la felicità


Che rumore fa la felicità..

Come opposti che si attraggono,
come amanti che si abbracciano,
camminiamo ancora insieme,
sopra il male, sopra il bene.
Ma i fiumi si attraversano
e le vette si conquistano.
Corri fino a sentir male
con la gola secca sotto al sole.
Che rumore fa la felicità..
Mentre i sogni si dissolvono
e gli inverni si accavallano..
quanti spilli sulla pelle
dentro al petto, sulle spalle,
ma vedo il sole dei tuoi occhi neri
oltre il nero opaco dei miei pensieri
e vivo fino a sentir male
con la gola secca sotto al sole.
Corri amore, corri amore..

Che rumore fa la felicità..

Insieme, la vita, lo sai bene,
ti viene come viene,
ma brucia nelle vene
e viverla insieme
è un brivido, è una cura
serenità e paura,
coraggio ed avventura,
da vivere insieme, insieme, insieme, insieme a te..

Che rumore fa la felicità..
Due molecole che sbattono
come mosche in un barattolo
con le ali ferme senza vento
bestemmiando al firmamento.
Mentre il senso delle cose muta
e ogni sicurezza è ormai scaduta
appassisce lentamente
la coscienza della gente..
Che rumore fa la felicità..
Che sapore ha
quando arriverà
sopra i cieli grigi delle città
che fingono di essere
rifugio per le anime.
Corri fino a sentir male
con la gola secca sotto al sole.
Corri amore.. corri amore..

Che rumore fa la felicità..

Insieme, la vita, lo sai bene,
ti viene come viene,
ma brucia nelle vene
e viverla insieme
è un brivido, è una cura
serenità e paura,
coraggio ed avventura,
da vivere insieme, insieme, insieme, insieme a te..

Dove sei ora?
Come stai ora?

Cosa sei ora? Cosa sei?


Dove sei ora?
Come sei ora?

Cosa sei ora?
Cosa sei… cosa sei?
Ma.. insieme, la vita, lo sai bene,
ti viene come viene,
ma è fuoco nelle vene
e viverla insieme
è un brivido, è una cura
serenità e paura,
coraggio ed avventura,
da vivere insieme, insieme, insieme, insieme a te…

Grazie

Oggi mi è capitata una cosa strana, almeno per il mio abituale modo di essere.
Ero nervosa perché un imprevisto mi stava rovinando i piani.. e poiché io ho una scarsissima tolleranza verso gli imprevisti, soprattutto se negativi e portatori di problemi, la mia soglia di calma zen stava precipitando in picchiata. Crisi di nervi alle porte. Lunatica come sono (alle volte mi basta un soffio in un orecchio per cambiare umore..), non prendevo neanche in considerazione l'opzione "affronta la cosa con calma e sangue freddo.. c'è di peggio al mondo". No.
In questi casi, poi, il fatto che nessuno sia disposto / capace di prendersi carico del mio problema e risolverlo in tempi da record (neanche fosse la Fata Turchina) tende ad accentuare la mia già di per sé evidente tendenza al nervosismo (questo probabilmente depone a favore di un egocentrismo di non scarso peso. Ma non è questo il punto. Questa è la prassi, per me). Mio fratello aveva già sventolato bandiera bianca. Mi stavo arrendendo, spalancando le porte ad una sana, tossica domenica di malumore.
E invece.
E invece qualcuno si è interessato al problema di questa povera cretina, cercando di risolverglielo. Senza che gli fosse chiesto nulla. Cosa gliene veniva? Assolutamente niente. Stupefacente.
Alle volte penso di essere veramente poco fiduciosa nel prossimo, se mi stupisco così tanto trovando un guizzo di solidarietà in qualche angolo remoto della mia miserrima vita.
Fatto sta che quel deus ex machina (che alla fine, nonostante tutto l'impegno, non è riuscito nell'intento di salvarmi il cosiddetto..) non ha polverizzato l'ostacolo, ma ha polverizzato il mio malumore. Davvero stupefacente. E ' una cosa che riesce davvero a pochi, in un numero variabile tra l'uno e lo zero.
Solitamente, l'iter del mio malumore necessita, prima di concludere il suo ciclo di vita, di cuocere a fuoco lento per una buona mezza giornata (sempre nella speranza che qualche altro avvenimento di vago interesse mi distragga temporaneamente dal coltivare con morbosa cura quel bocciolo di acidità allo stato puro). Poi, generalmente, si dissolve da solo. Con tutta calma.
Ma sono davvero pochi coloro che possono affermare / vantarsi di essere stati così bravi da abbreviare la procedura e risolvere la questione in tre balletti. Quindi, onore al merito di questa persona, che, oltretutto (o forse proprio per questo), non mi conosce neanche bene.
Alla risultanza dei fatti, sono qua, con l'animo sufficientemente placido (considerato il fatto che l'imprevisto iniziale persiste tenacemente..) ad esprimere il mio stupore per un gesto di ordinaria carineria. Cosa aggiungere? Tante grazie!

29.10.08

Lettera ad un bambino mai nato



Oggi una tal Rosa P. mi ha colpito con una frase "La tristezza sta diventando il mio ossigeno". Raccontava, in una lettera aperta ad un magazine molto popolare, la sua esperienza: ha abortito perché il suo compagno non se la sentiva di avere un figlio. Dopo due mesi, lui l'ha lasciata per tornare dall'ex moglie, condannandola a sopravvivere da sola ad un susseguirsi di giornate riempite solo da un corrosivo senso di colpa verso quella creatura, a cui lei ha rinunciato per un amore insensibile e sciocco, che non ha saputo capire la profondità di quel gesto. Una madre che rinuncia a suo figlio per un uomo, che di quel figlio non ne voleva sapere.
Se questa stessa storia mi fosse stata riportata da qualcuno, probabilmente, conoscendo il mio carattere, avrei commentato, inflessibile quanto estranea al suo dolore: "E' lei che ha preso la decisione. E ora se ne lamenta? Poteva pensarci prima di uccidere suo figlio per fare l'adolescente adorante..". Ma leggendo di prima mano, nero su bianco, il dolore e la disperazione che trasuda da ogni sua parola, mi è impossibile formulare un qualsiasi tipo di giudizio: non ha fatto bene, non ha fatto male. Ha agito in base ai propri sentimenti, come troppo spesso le donne tendono a fare, nella romantica quanto ingenua convinzione che affidarsi al proprio istinto sia la cosa più giusta da fare. Beh, purtroppo, Rosa P. ha scoperto a sue spese il sapore amaro della disillusione.
Ma in tutta la lettera, il passaggio che mi ha colpito davvero è stata quella frase "La tristezza sta diventando il mio ossigeno". Non usa paroloni o strane figure retoriche. Sono termini semplici, concetti banali. Eppure, colpisce come una secchiata d'acqua fredda. In sette parole esprime la miseria della sua esistenza: vive di dolore, si nutre di dolore, respira dolore. E' agghiacciante. Poteva dirlo in mille altri modi: sto male, piango sempre, sono finita in un vortice di depressione, sto sprofondando nel dolore. Invece, lei l'ha detto così. E non credo che una donna che sta passando quello che sta passando, anche se scrive ad un giornale, si metta ad elaborare espressioni poetiche per infiorettare i suoi sentimenti. Non voleva essere poetica, non voleva essere delicata o romantica. Probabilmente sperava solo di trovare un qualche conforto nel condividere con emeriti sconosciuti un peso troppo grande da portarsi dietro da sola.
E riesco quasi ad immaginarmela, seduta al tavolo della sua cucina, in quell'appartamento così violentemente vuoto, mentre scrive quelle parole.. Il suo sguardo si perde nel vuoto, cade sulla finestra aperta.. e lei realizza che non ne percepisce la frescura, non sente salire nelle narici il sollievo temporaneo di quell'anelito pulito che viene dal suo giardino. Realizza che l'aria che respirano tutti, tutti coloro che continuano a vivere una vita "normale", non è più la stessa che respira lei. Ormai, la tristezza sta diventando il suo ossigeno. E non ci sono molte vie d'uscita, perché non si può tornare indietro, non si può cambiare il passato. Anche se quella decisione, presa per troppo amore, le ha distrutto la vita.
E non solo la sua. E questo non se lo perdonerà mai.

20.10.08

I can't get no satisfaction


L'insoddisfazione è una brutta bestia. Corrode dentro. Ti lascia sempre con la bocca mezza aperta e le palpebre che sbattono a vuoto, con un'espressione imbecille sul viso.. in attesa di avere qualcosa che riempia gli occhi e la bocca.
Ti guardi intorno, scruti visi e sguardi. Ti accendi speranze come sigarette, una dopo l'altra. E, come sigarette, si spengono, finiscono prima che tu abbia fatto in tempo ad abituartici. O forse no, forse è proprio perché ci si abitua subito, che la delusione è tanto forte quando finiscono per terra, concludendo gloriosamente la loro breve ed insignificante esistenza, schiacciate dalla suola generosa di qualcuno. Perché c'è sempre qualcuno pronto ad assicurarsi che non brucino più. Qualcuno che ti strattona per riportarti alla (triste) realtà. Qualcuno disposto a darti lo schiaffo in faccia.
L'insoddisfazione è una brutta bestia, perché la maggior parte delle volte, a dire il vero, non avrebbe neppure motivo di esistere: sì, certo, può darsi che la mia vita abbia spazi vuoti.. ma chi non li ha? Chi può dire di avere la fortuna di un'esistenza realmente ed interamente piena? Qualcosa ci manca sempre, non saremmo essere umani altrimenti! Se non sentissimo il costante (ed irrinunciabile) anelito a "qualcosa di più" probabilmente perderemmo un po' della nostra sana voglia di vivere.
Ma allora che cos'è che scatta di diverso, alcune volte?
L'insoddisfazione è una brutta bestia, perché annebbia il cervello, travisando la relatività delle cose. Mi inganna convincendomi di una ragione tanto fittizia quanto incrollabile, che mi spinge nella strenua difesa delle mie posizioni. Paladina delle mie certezze, contro tutto e tutti, contro un mondo che, diciamocelo, delle mie certezze non si pone neppure il problema!
Una lotta contro i mulini a vento, dunque, contro nemici invisibili. Nati nella mia mente dal profondo e disperato bisogno di scaricare su qualcuno una rabbia che, forse, non avrà motivo di esistere, eppure c'è, e non riesco a tacitare.
Oh, so già che passerà, che si scioglierà come neve al sole. Lo so benissimo. Ci sono passate tante di quelle volte!
Ma la cosa, ora come ora, nell'infuriare della tempesta di questi sentimenti negativi, non mi è di nessuna consolazione. Anzi, se possibile, riesce solo ad aumentare questo snervante e corrosivo senso di frustrazione che mi rende astiosa verso chiunque, perchè chiunque rappresenta una minaccia, un nemico.
Chiunque potrebbe essere lo stronzo che ha spento la mia sigaretta.

10.10.08

La diga delle lacrime

Non mi era mai capitato prima.. forse perchè non mi ero mai trovata nella situazione di provare un dolore così forte: di quelli che ti tolgono il fiato, ti straziano dentro, ti lasciano senza un appiglio, come un disperato in mezzo all'oceano. Piangi, vorresti urlare, se solo la buona creanza lo permettesse. Ti rendi conto che è l'unico strumento a tua disposizione per lenire il dolore, al momento: piangere. Non puoi, non riesci a fare altro.
Poi ti riprendi, respiri profondamente, assapori per un poco quella sensazione di svuotamento.. Per un po' dura, ti dà il tempo di riprenderti, di occuparti del dolore altrui, di rimettere ordine nei pensieri e tornare lucida. Poi l sguardo cade, autolesionista, su una foto, una dedica, e rinizi a piangere
E vai avanti di questo andazzo, ora dopo ora, giorno dopo giorno.

Poi, il blocco. Dopo quattro o cinque giorni in cui mi sono crogiolata, mi sono quasi beata del mio dolore, vi ho scavato un conca che si adattasse perfettamente alla mia forma.. dopo aver trovato un mio equilibrio nel mio dolore, il blocco.

E ora non so che fare. Perchè le lacrime non escono più, perchè non sento più arrivare dal mio cuore lo stimolo ad urlare. Non sento lo strazio, come se una placenta invisibile lo tenesse bloccato all'altezza del mio stomaco, senza darmi modo di sfogarlo ancora. E vorrei, perchè lo sento fermo lì, ed è fastidioso, è fuori luogo, non mi dà modo di stare bene.
Almeno, non realmente. E' una calma apparente, una tranquillità fittizia, nata dalla necessità di tornare alla routine, di sopravvivere, pantomima del vivere di prima. Anche se la cosa mi fa sentire sporca, misera, irrispettosa verso ciò che fino ad una settimana fa non mi faceva prendere sonno di notte, che popolava i miei dormiveglia. Il primo pensiero quando aprivo gli occhi, l'ultimo quando provavo a chiuderli. E costante, nell'arco dell'intera giornata.
Dov'è, ora, tutto quel dolore? Perchè lo nego a me stessa, in un processo istintivo di autodifesa che, lo so già, mi porterà solo ad un vicolo cieco?
Perchè il dolore non lascia scampo. C'è. E se sembra scomparso, in realtà si cela nella meschinità della pavida quotidianità, nel "tirare avanti"..
Mi aspetta al varco, lo so già, ma ora come ora non credo di poter fare altro che camminare.
E quando arriverò al varco, beh.. forse, piangerò. Di nuovo. Finalmente.

28.8.08

Zucchero


Siamo talmente assuefatti all'indifferenza umana, al modo così superficiale che abbiamo di trattare i rapporti che instauriamo con gli altri, che quando intravediamo dell'inaspettata dolcezza, non sappiamo cosa pensare. Come giudicarla. Abituati ormai a vedere meschinità in ogni risvolto del nostro vivere, allenati alla diffidenza come ad uno sport agonistico, rimaniamo spiazzati da qualcosa che "minacci" calore umano.. Ne diffidiamo. E' inevitabile, ormai è la nostra natura. Ci scervelliamo alla ricerca del secondo fine. Perché, dai, ci dev'essere per forza un secondo fine! Siamo cresciuti sentendoci ripetere da tutti che nessuno regala niente a questo mondo. E, ancora più importante, di non accettare mai caramelle dagli sconosciuti. La difesa dalla minaccia dell'Ignoto è diventata la nostra pratica quotidiana.
E se invece fosse davvero solo un po' di dolcezza?
Provo a fare uno sforzo, ad andare contro quella che ormai è diventata la mia natura di persona che diffida dalle persone. Recuperare un po' di sana ingenuità. Provare a dare fiducia senza motivo per farlo, senza avere un'assicurazione in carta bollata che non ne riceverò alcun danno fisico o psicologico. Provare, una volta tanto, a lasciare i piedi di piombo a casa, ed indossare quelli di piuma. Vedere se si cammina meglio. Almeno per una volta.
Forse allora si potrebbe prendere in considerazione la folle ipotesi che ci sia ancora qualcuno in grado di darti dolcezza senza un motivo materiale.. Così, per il piacere di farlo. Magari nella speranza di riceverne un granello in cambio. Non chiede poi tanto. Credo che farò uno sforzo..

27.7.08

La scoperta e la corda


Quando tra Lui e Lei scatta l'alchimia, l'aria cambia sapore.
Viene attraversata da una corrente che pare palpabile, tanto è concreta. Lui elabora il pensiero, Lei lo coglie e lo fa proprio.
Ma fintanto che si sta in equilibrio sul limbo delle sensazioni, rimangono solo pensieri. Perché Lui sta ancora assaporando quel gusto zuccherino che il piacere della scoperta, di quella scoperta, lascia in fondo al palato.
E Lei si limita per il momento ad abbassare lo sguardo ed increspare il sorriso, vezzosa timidezza, per il piacere della scoperta, di quella scoperta. Ma, per ora, solo lampi di pensieri.
Lui e Lei stanno ancora ai due capi opposti del filo, ognuno risolutamente ancorato alla propria piattaforma. Sotto i piedi, rassicurante stabilità.
Ma l'aria ha ormai cambiato sapore, e Loro l'hanno sentito. La corrente preme con gentile ed irremovibile insistenza, come mano invisibile sulla schiena.
Ineluttabilità delle sensazioni, contro cui la razionalità umana è come formica contro il vento quando annuncia tempesta. Stupido resistere. Inutile aspettare.
Lui solleva il piede destro dalla piattaforma, per poggiarlo, calmo ma senza esitazione, sulla corda, che immediatamente si inclina ed inchina, succube sotto il suo peso.
Un piede qua ed un piede là. Una metà che significa già un tutto.
All'altro capo, Lei ha osservato la scena, e sorride perché, paradossalmente, la conferma della sensazione è riuscita comunque a stupirla.
E la risposta è naturale, quasi ovvia. Non obbligata, ma dovuta.
Ed il piede destro abbandona la piattaforma, e cambia di nuovo l'equilibrio di quel filo, non più inchinato da una parte, ma in egual modo abbassato sotto egual peso.
Un passo avanti, e l'altro piede avanti al primo.
La linea cambia angolazione ad ogni movimento. Trapezio che diventa triangolo. Bruco che diventa farfalla. Sotto la gravità di quei due corpi che si attraggono come il magnete ed il ferro. Come Lui e Lei. E l'importante non è quando s'incontreranno, nel punto più basso della corda, e nel momento più alto di quella danza. Non è quello l'importante, perché, per allora, Essi si saranno già abituati al sapore caldo e conosciuto della vicinanza, come a quello del pane. Buono, certo, Rassicurante. Ma ben diverso e distante da quel gusto zuccherino che solo il piacere della scoperta, di quella scoperta, lascia in fondo al palato.

23.7.08

Puzzle


Le persone sono come le tessere di un puzzle. Ognuna diversa dall'altra. Ed ognuna combacia solo con poche altre. Puoi provare infinite combinazioni.. ed alcune volte ti sembrerà perfino di aver trovato la giusta combinazione, per poi accorgerti che su un lato forza un po' troppo e, no, quello non è l'ordine giusto.. quei due pezzi non stanno bene insieme. E riparti alla ricerca del tassello giusto..
Provare le infinite combinazioni possibili in una scatola di tessere da puzzle è, secondo me, il gioco della vita.. Io sono una di quelle tessere, e, alla fine della mia esistenza, avrò gli angoli un po' smussati, i lati sgualciti ed un tantino rovinati da quel continuo provare e riprovare, inarrestabile e alle volte frenetico, quella ricerca quasi disperata della giusta combinazione.
Però, se mi si desse la possibilità di scegliere tra quell'estenuante ricerca e l'occasione di trovare al volo quei pochi e rari pezzi con cui andare d'accordo, non credo che accetterei lo scambio. Perché, alla fine, ognuno di quei tentativi, ogni piccolo pezzo di cartone preformato, ogni singola persona, benché non sia quella perfetta per te, può darti qualcosa. Magari, anzi, probabilmente, sgualcirà i tuoi fragili lati di cartone, toglierà un po' di colore dalla tua superficie ben disegnata. Ma è il gioco della vita: le persone che incontriamo, con cui proviamo a combaciare, ci regalano una parte di loro, in quel buffo tentativo. Forse ci faranno un po' male, ci faranno perdere dei piccoli brandelli della nostra personalità (perché tradiranno la nostra fiducia o intaccheranno il nostro sano desiderio di vivere).. Ma pensiamola un attimo dall'altra ottica: anche noi, nel medesimo momento, forziamo la loro personalità. Ma, allo stesso tempo, lasciamo un po' della nostra sul loro perimetro..E' uno scambio abbastanza inevitabile. A volte, lascia un po' acciaccati; e ripartire, dopo, è più complicato. Ma si continua, perché siamo nati per questo.
La cosa buffa, o paradossale, è che puoi arrivare alla fine dei tuoi giorni senza aver trovato le tessere combacianti, quelle perfette per te. Ma non rimpiangerai la tua vita, perché ne avrai trovate altre mille imperfette, che forse, però, valgono di più.

13.6.08

Limpidi come l'acqua sporca..

E' forse una delle cose che mi dà più fastidio nelle persone: quel disperato e affannoso bisogno di cercare scuse (spesso imbarazzanti quanto fuori luogo) per giustificare un'opinione, una posizione, una volontà personale. Basterebbe dire: questo non mi va/non mi piace/non mi sta bene, perchè è così. Punto.
E invece no. Più sono "adulti" (o così amano definirsi), più sono convinti della necessità di avvolgersi in pesantissimi mantelli di scuse.. come se ci fossero da nascondere chissà quali "verità scomode".. Sono cose che proprio non concepisco. Posso capire che a volte con degli estranei senti il bisogno di "smussare" la realtà, perchè troppo personale, o imbarazzante, o per buona creanza. Ma con un parente, un amico stretto, un conoscente fidato.. perchè non essere onesti? Ci sono già tanti problemi e inconvenienti nell'arco di 24 ore.. Perchè crearsene un'altra montagna con scuse, scusette e bugie? Che spreco di tempo e di energie! Se tutti fossimo un po' meno preoccupati di "fare bella figura" con degli emeriti sconosciuti (che poi, parliamoci chiaramente, di noi se ne strafregano!!), non saremmo così terrorizzati all'idea di vivere onestamente, alla luce del sole, ogni piccolo e normale aspetto della vita quotidiana.
Che poi, come dice sempre mia nonna, ci si deve vergognare solo di rubare!!

12.6.08

Leggere se stessi negli altri

E' una cosa che mi stupisce sempre, leggere parole altrui e trovarci sensazioni che provo anch'io, scritte nel modo esatto in cui avrei potuto scriverle io. Perchè è così che le sento, e così le avrei scritte. Bé, colpisce quando quelle parole le vedi scritte dalla mano di qualcun altro, soprattutto da qualcuno che non conosci affatto.
Oggi ho letto il post di una ragazza, nel suo blog, e mi ha fatto sorridere leggerlo: sorridere, perchè è bello trovare una parte di sé negli altri; sorridere, perchè è sempre una buona lezione per il nostro ego rendersi conto di non essere così "speciali", di essere come tanti altri, nel nostro essere unici. Una bella lezione di modestia e di umiltà, che va presa come un modo per avvicinarsi agli altri, invece che cedere alla tentazione di salire un gradino più in alto.
Quelle parole avrei potute scriverle io, ma le ha scritte lei. E invece di rimanerci male per questo, sorridere, sapendo che se quella persona sa scrivere le mie sensazioni così bene, le può anche capire altrettanto bene.. E questa è una cosa che non succede così spesso..

11.6.08

"Omocentrismo"

E' possibile provare invidia verso una persona a cui vuoi bene, che rispetti, per cui provi un affetto profondo?
Forse, se me lo fossi chiesto anche solo ieri, mi sarei risposta, da brava ipocrita perbenista: "Nooooo, se provi un sentimento così negativo, vuol dire che non vuoi davvero bene a quella persona!".
E invece si può. E mi faccio anche un po' schifo a dirlo, o meglio, a provarlo. Ma è così. Me ne vergogno, ma io oggi ho invidiato una persona a cui voglio molto bene, perchè ha avuto qualcosa che io desidero ardentemente, da molto tempo. L'ho invidiata. E prima di pensare alla sua felicità, e al piacere di poter condividere con lei questo momento della sua vita, il mio primo, meschino pensiero è stato: "Perchè a me no??". Sono una persona cattiva per questo? Non lo so. Sono sicura di voler bene a questa persona. Ed ora, con più lucidità e raziocinio, sono contenta per lei, sinceramente. Ma la mia prima, istintiva ed umana reazione è stata un'altra.
Non cerco l'assoluzione per il mio "peccato". Immodestamente, ritengo di avere sufficiente intelligenza per capire da sola che un atteggiamento del genere è più che normale. Perchè siamo esseri umani, e come tali, siamo sempre un po' meschini. Sempre un po' egoisti. Perchè l'uomo è "omocentrico": e se io mi chiamo Luisa, il mio mondo girerà intorno a Luisa. Se io mi chiamo Mario, il mio mondo girerà intorno a Mario. Sono convinta di questo.
Ma tutto ciò non mi fa vergognare di meno per quello che ho provato, senza riuscire a soffocarlo, oggi. E quello che mi infastidisce di più è che, probabilmente, se domani ricapitasse una situazione simile, proverei il medesimo sentimento. Perchè sono umana? Perchè è il mio carattere? Perchè ognuno ha dei difetti? Non lo so, non lo so proprio. So solo che oggi ho invidiato una persona a cui voglio bene, e mi sento una stronza per questo.

8.6.08

Scintille - Parte II

Mi sono accorta che il colpo di fulmine (sottolineiamo ancora: non si parla di innamoramento/amore /attrazione /ecc.. o, almeno, non per forza..) è come un bambino: ad un certo punto, si sa, nasce. Qui però c'è una piccola differenza: di regola, un colpo di fulmine non te lo aspetti, ti capita un po' tra capo e collo.. direi che è una sua caratteristica base.. mentre il bambino, , di solito, lo sai prima quando deve nascere....!
Ma, come fa il bebè, il fulmine appena nato inizia a crescere.. Non rimane sempre allo stadio base.. no, se hai la possibilità di nutrirlo (a meno che l'incontro-scontro con la Persona non sia stato il primo e l'ultimo..), lui cresce.. Un'ulteriore fase, dopo l'interesse-curiosità verso la Persona, è quella in cui tu, povera creatura ogni giorno più coinvolta in un gioco a mosca cieca (che poi non avevi neanche chiesto..), inizi, nella maniera più dolce ed ingenua del mondo, a preoccuparti per quella Persona.. Eh già, capita anche di questo: neanche la conosci, se non a livello superficiale, ma ti basta sapere qualche dettaglio, neanche troppo personale, della sua vita, per prendertene carico, almeno nei tuoi pensieri. E pensi. Pensi se in questo momento starà bene o sarà triste. Pensi se oggi avrà pianto. Pensi a quello che starà passando in questo esatto momento. Pensi se la notte scorsa avrà dormito bene o sarà stata agitata.. Pensi.
Sprechi, se così si può dire, i tuoi pensieri più sinceri per una persona che magari, anzi, probabilmente, a te non pensa proprio! Non per cattiveria, bada bene, ma semplicemente perché tu non hai lasciato nei suoi occhi quell'impronta scura e definita che invece lei ha lasciato nei tuoi. O magari la puoi anche aver colpita (in questo pensiero ti crogioli per l'altra metà della giornata, quella in cui non ti stai preoccupando per lei..), ma avrà anche altre cose a cui pensare (lei...). E intanto tu pensi...

5.6.08

Scintille


A volte, piuttosto raramente a dire il vero, capita d'incontrare una persona che ti colpisce. Molto semplicemente, senza bisogno di particolari stratagemmi, si infila nella sfera della tua attenzione, trova un posticino libero e vi si accomoda, aspettando che la tua attenzione diventi interesse, poi curiosità, infine desiderio di conoscerla. Perché ha qualcosa, ma poi che cosa non lo si capisce mai, che la fa stagliare sopra gli altri di mezzo metro. Ed è un qualcosa di cui essa non è nemmeno conscia, e che forse vale solo per te, e non per tutti: magari, quella stessa persona passa inosservata come il più anonimo dei volti agli occhi di chiunque altro. Ma non ai tuoi. Lì rimane impressa come quando guardi dritto in faccia il sole, e lui, accecandoti, lascia la sua tonda immagine stampata in negativo sotto le tue palpebre. Così funziona.

Il più delle volte di quella persona non sai niente, se non quel poco che ha a che fare con il luogo o la situazione in cui l'hai incontrata. Ma se la tua attenzione diventa interesse e poi, piano piano, curiosità, allora inizi ad informarti, perché, cavolo, vuoi proprio capire cos'ha quella persona di così fuori dal comune per averti colpito! Vuoi sapere come si chiama, per dare un nome a quel volto che torna insistente nei tuoi pensieri. Vuoi sapere quanti anni ha, che fa nella vita, perché era lì. Che tipo è. Ci vorresti scambiare qualche parola, per vedere se è davvero come te la eri immaginata (perché, quando inciampi in una persona così, scatta subito un meccanismo d'immaginazione che ha dell'incredibile, da far invidia anche a tua nonna, quando si mette a prevedere le prossime puntate di Beautiful!!). Ma, sopra ogni cosa, oltre al desiderio di avere informazioni su di lei, di conoscerla, di parlarle, oltre tutto questo, c'è una cosa che aneli con tutto te stesso: di piacerle. Per poter poi leggere nel suo sguardo quello stesso rispetto e quella stessa considerazione che nutri per lei. Anche se è un'emerita sconosciuta. Ma una sconosciuta il cui giudizio, per qualche oscuro motivo (alchimia? casualità? destino?), diventa improvvisamente per te di fondamentale importanza.

Qualcuno lo chiama colpo di fulmine. Ok, va bene, rende l'idea.. a patto che non sia sinonimo d'innamoramento uomo/donna.. ma piuttostodi una scintilla improvvisa e imprevista fra due persone (qualunque sia il loro sesso) che sarebbero potute rimanere due perfette estranee, e invece no. Chissà perché, poi..

29.5.08

Autoscontro

Giornata impegnativa oggi.. Di quelle che arrivi a sera e hai talmente tanti pensieri e idee che ti vagano in testa da non sapere come gestirli.. Ma il loro bello è proprio questo: quel loro scarrozzare senza traiettoria, come all'autoscontro del lunapark.. Se ti metti ad osservarli da fuori, sono perfino buffi, no?
Non sono quei generi di pensieri che ti preoccupano, o che ti mettono tristezza.. Semplicemente, ti fanno pensare.. ci ragioni, ti arrovelli, cerchi di dargli un verso, poi no, questo no, meglio un altro.. ecco, così già suonano un po' meglio.. E vai avanti così. Oppure scrivi, come faccio io. Che poi, il loro ordine lo trovano da soli.. Sono in gamba, i pensieri..

28.5.08

Vivere e sopravvivere

Ieri, mio fratello mi ha chiesto: "Sei tranquilla?" e io gli ho risposto "Sì". Poi mi ha chiesto: "Sei felice?" e io "Guarda che c'è una bella differenza tra essere tranquilli ed essere felici!". "Lo so, è per questo che te l'ho domandato.. Quindi, sei tranquilla?" "Sì" "Sei felice?" "No, ma sono tranquilla, e già non è poco..". E mi è venuta in mente una canzone che fa "E mi domando se la mia è una vita felice, e so rispondere solo.. che mi piace.."

27.5.08

Il tempo è ladro..

Il tempo è ladro..
Lui non si ferma a pensare ai danni che può provocare. Non chiede permesso prima di passare, non dice "scusate".. Lui entra, passa e porta via con sé le fondamenta della tua vita. Distrugge una famiglia, rovina la vita di una ragazza, sconvolge gli amici. Ti porta via, e senza avvertire. Un attimo prima sei tu, sei giovinezza, sei VITA.. E un attimo dopo sei NULLA. E chi rimane fa fatica a rendersi anche solo conto di quello che succede. Perché c'è dell'incredibile in una cosa del genere..C'è che rimani senza parole, senza fiato, senza respiro. Perdi in un istante buona parte delle tue convinzioni, perché quello che hai davanti agli occhi le smentisce. Nega la possibilità che ci sia giustizia, che ci sia felicità, che ci sia la libertà di vivere..
Cazzo, però: ti poteva lasciare il tempo di dire qualcosa.. Bastava un preavviso di qualche ora, giusto per saperlo. Giusto per avere la possibilità di dire ciao a tutti, di dare un bacio a tua madre. Giusto per.. Ma forse sarebbe stato peggio.. avresti avuto il tempo necessario per capire "che la tua vita finiva quel giorno, e non ci sarebbe più stato ritorno"...e non te ne saresti andato con il sorriso sulle labbra e la gioia di vivere nel cuore, ma con l'angoscia di sapere dove stavi andando..

26.5.08

Pomeriggio di fine inverno

Venerdì 2 Febbraio 2007: Il sole delle quattro del pomeriggio, quando l’inverno sembra già lasciare il palcoscenico alla primavera, è come una di quelle sciarpe leggere, che avvolgono in una lieve e rassicurante sensazione di calore…non solo sulla pelle, non solo sulle guance, ormai abituate ad essere schiaffeggiate dal gelo metallico del vento di gennaio.. E’, piuttosto, quel calore che, dalla superficie, penetra sempre più nel profondo.. e, dopo un soffio di tempo, ti ritrovi con gli occhi che lacrimano per i raggi del sole, ma la sensazione di poter finalmente tirare il fiato, anche solo per un attimo…un momento di pace..
Anche se la musica mi rimbomba nelle orecchie ed il rabbioso abbaiare dei cani fa da sottofondo.. per me questa è pace, è serenità.. E’ la piacevolezza di un attimo, l’appagamento per aver rubato una manciata di minuti ad un pomeriggio banale, prendendolo di sorpresa..
Mi viene naturale, alle volte, perdermi dietro i contorni confusi di questa sottesa malinconia, se così si può definire, che pervade il pomeriggio di una luminosa giornata di fine inverno.. Ne rimango così affascinata.. Dipende forse dall’essere giovane, è quindi un’influenzabile sognatrice? O da una sensibilità tipicamente femminile? O forse è un istintivo bisogno di ricercare il contatto con quella Voce, quella creatura temuta e miscreduta, chiamata Anima?
Che discorsi filosofici.. E pensare che volevo solo sedermi per terra, al sole, con la musica nelle orecchie e penna&foglio tra le mani.. La Voglia di scrivere, non importa cosa, di scrivere per il piacere di farlo, di vedere la punta della penna lasciare la sua precisa scia nera sulla superficie del foglio.. Come un bastone traccia il suo percorso, incidendolo sulla sabbia in riva al mare, in una serata di fine estate.. Disegna linee e lettere, parole donate al vento e all’acqua salata, che, leggendole, le nasconderà per sempre agli occhi altrui..
Ed intanto il sole tramonta.. l’inverno si toglie lentamente il velato drappeggio preso in prestito dalla primavera. Mi accorgo di aver perso la sciarpa leggera che mi riscaldava dentro e fuori.. Chissà se domani il sole la avvolgerà nuovamente su di me..?

La fede che rende ciechi

Fin da bambina sono sempre stata “educata” ad una “cultura cristiana”: sono stata battezzata, ho fatto la comunione, la cresima, ecc ecc. Fin qui, tutto ok. E’ da qualche anno, però, che, com’è naturale, il mio cervello ha iniziato a lavorare autonomamente, pensando a cosa volesse dire REALMENTE essere cristiana…e sono iniziati a sorgere i dubbi. Chiariamo: io sono convinta che ci sia un Dio da qualche parte. Quella che intendo fare non è una “critica alla metafisica” (come direbbe la mia prof di filosofia): ciò che non riesco a mandar giù della religione è la sua istituzionalizzazione in un organismo, la Chiesa, che, a mio parere, dovrebbe rappresentare, se non proprio un modello, perlomeno il tentativo di realizzare concretamente l’ideale cristiano. Purtroppo, questa mia ingenua visione si è ultimamente scontrata con la Fede, cieca ed incondizionata: in un dibattito riguardo alla corruzione della Chiesa e alla sua incapacità di ammettere sinceramente i propri errori, passati e presenti (in particolare, lo scandalo dei preti pedofili), ho scoperto che alla Chiesa si perdona tutto, per così dire: essa, infatti, è composta da uomini qualunque, uguali uguali a tutti gli altri, e come tutti gli uomini, peccano. Benissimo. Ma la cosa inizia a diventare poco tollerabile quando, con questo ragionamento, si tenta di giustificare la corruzione che coinvolge una parte (e sottolineo, una parte) della Chiesa, adducendo come scusante l’idea che il clero è solo il portatore di un messaggio, un misero contenitore: quello che importa è il contenuto, la Verità. Essa non viene minimamente scalfita se il contenitore è un tantino (cito testualmente) “marcio”. Esempio esplicativo: una regola di matematica non è messa in dubbio se il prof te la spiega male; essa è certa, impermeabile ad agenti esterni. Ma qui non stiamo parlando di somma&differenza, bensì di valori, di morale religiosa: come faccio a dare ascolto, a confessarmi, a ricevere il corpo di Cristo da una persona che lo dovrebbe incarnare e che invece, a volte, ne tradisce le leggi fondamentali? Ma il Cieco Credente mi risponde: “E chi te l’ha detto che sono cose vere? Che reportage e articoli giornalistici non siano solo montature? Che il diario di un prete pedofilo che elenca le tecniche per adescare un bambino corrisponda a verità? NON TI FAI PROPRIO SFIORARE DAL DUBBIO?”. Tento allora di attaccarmi a cose di un qualche valore, come processi, testimonianze, CONFESSIONI. Ma niente, non c’è verso: il Cieco Credente fa crollare ogni mia obiezione con la sola forza della sua indiscutibile fede.
E così arriviamo alla morale della favola: va benissimo credere, in qualunque religione e divinità si voglia credere; è un diritto professare la propria fede ed esercitarne il culto.
Ma è giusto abolire la propria AUTONOMA coscienza e sostituirla pari pari con la visione che la Chiesa ti impone? La fede vuol dire veramente perdere la propria capacità di giudicare le cose per come sono, oggettivamente? Criticare la Chiesa, o parte di essa, non vuol dire negarne il messaggio religioso, tutt’altro: attraverso una visione più aperta e critica, anzi, la nostra fede può uscirne migliorata, più profonda. Ed il Credente, da Cieco, diventerebbe Convinto.

Seconda pagina

La vecchia, seduta nella seconda fila di fronte all’altare maggiore, aveva sentito chiaramente i passi frettolosi dell’uomo, ma non se ne era curata, e non aveva alzato la testa neppure di un millimetro. Quel matto veniva tutte le mattine a rubare fiori.. chissà che se ne faceva poi.. Ma ora lei aveva cose più importanti a cui pensare. Doveva incontrare padre Gianni, quella mattina, e l’attesa la stava divorando. Era stanca. Quella notte non era riuscita a chiudere occhio, ma non si era arrischiata a prendere dei calmanti, perchè aveva bisogno di essere completamente lucida. Aveva provato tutti i possibili rimedi alternativi, dalla camomilla alla valeriana, fino a ritrovarsi a contare pecore sul soffitto buio, come una bambina. Tutto inutile. Non era riuscita a prendere sonno. Quel macigno che aveva nel cuore non le dava scampo. A volte le sembrava addirittura di non riuscire a respirare. Aveva ripetuto mille volte tra sé e sè il discorso che aveva preparato per il prete, bisbigliandolo a denti stretti, come se anche i muri della sua casa solitaria potessero condannarla per quello che aveva fatto. Aveva cercato di alleviare la propria pena, aggrappandosi al fatto che in fondo padre Gianni era un uomo di fede, e di buon cuore: forse, non l’avrebbe rimproverata con il suo sguardo severo.. forse, l’avrebbe capita, rassicurata, e infine assolta, con dieci Ave Maria e quattro Padre Nostro. Ma ora, su quella panchina che le gelava il sedere, con l’unica compagnia di un ladro di fiori appassiti, i dubbi e i timori tornavano a serrarle lo stomaco: il suo non era un peccatuccio da lavare via con un rimprovero e un giro di rosario.. “Oh, Signore, aiutami tu.. come devo fare?”
Era talmente persa in quel circolo di pensieri angosciosi, che non si era neppure accorta che il prete era uscito dalla sacrestia e l’aveva raggiunta dalla navata laterale. Così, quando le battè delicatamente una mano sulla spalla china, la donna sobbalzò per lo spavento. “Mi scusi, non era mia intenzione spaventarla. Che succede? Che cosa l’ha condotta nella casa del Signore a quest’ora del mattino?” “Padre, devo confessarmi”. L’uomo annuì e le fece gesto d’inginocchiarsi: la chiesa era deserta, non c’era bisogno di chiudersi nel confessionale.
“Dimmi figliuola”. “Padre, abbia pietà di me, perché ho molto peccato…”

In treno...

Giovedì 14 Febbraio

L’uomo di fronte a me: a guardarlo bene deve essere piuttosto giovane. Eppure dà l’impressione di una persona matura: l’espressione seria, quasi severa, come se la vita l’avesse già segnato, quel volto. Lo sguardo è tagliato verso il basso, condannandolo ad un’espressione perennemente triste.
Ha mani affusolate, da pianista, dita lunghe, le vene visibili sulla pelle chiara. Lo strano anello che porta -una fascetta alta, di metallo scuro- stona un po’ nell’insieme tanto serioso. Brutte scarpe, con l’allacciatura che arriva fino in punta.
Più lo guardo e più mi rendo conto che tutta quella serietà che emana è concentrata nel viso. Nell’insieme, sembrerebbe un ragazzo normalissimo: capelli corti un po’ sparati, un golf blu a V, un banale paio di jeans. Un neo spunta dal collo della camicia. La borsa a tracolla fa molto universitario. Ma quell’aria così sobria lo fa sembrare piuttosto il classico impiegato di banca.
Non so perché, ma dà l’idea di un tipo piuttosto nervoso: il modo in cui parla, in cui si muove. Sembra inquieto. Perché tanta serietà? Cos’è che non lo fa sorridere? Sembra che non sia proprio abituato a farlo. Qualche preoccupazione. O forse solo una vita monotona, sempre uguale a se stessa, che ormai regala pochi motivi per sorridere. Vive ancora con i suoi; è sempre stato un figlio modello, ottimi voti a scuola, tanti interessi. Poi ha fatto l’università. Ingegneria. Ora sta facendo il master, e intanto lavora. Ma ha trovato solo un posto da impiegato, che lo annoia a morte. Ultimamente le cose non vanno per il verso giusto: la fidanzata storica l’ha lasciato; la vita sotto lo stesso tetto dei genitori si è fatta pesante, e sua madre non vuole capire che ormai è un uomo, anche se lei gli lava ancora i calzini. Vorrebbe dare una svolta alla sua vita, ma non sa neanche da dove cominciare. A dire il vero, la sola idea di abbandonare le sue abitudini -benché noiose- lo spaventa da morire. Ecco perché è inquieto, ecco perché fatica a sorridere.
Filippo, è il suo nome: così l’ha chiamato la donna che è con lui. Effettivamente, ha proprio la faccia da Filippo. Nome serio, viso serio. Sta per scendere. Probabilmente non lo rivedrò mai più.


Venerdì 7 Marzo

Sapete quei visi che catturano l’attenzione per forza? Quelli che notano tutti, perché hanno quel non so che di particolare che rapisce lo sguardo? Ecco, oggi in treno c’era una ragazza con un viso così, di quelli che catturano. Aveva i capelli corti, rossi ramati, con la frangetta e un cerchietto argentato come decorazione. La pelle del viso era di un biancore e di una levigatezza fuori del comune, come le guance di una bambola di porcellana. Ma erano soprattutto gli occhi a non poter passare inosservati: due perle di vetro, di un colore unico, tra il grigio e il blu, quasi argento. Il trucco era dello stesso colore, come se avesse cercato esattamente una matita della stessa identica tonalità dei suoi occhi, per quanto impossibile potesse sembrare ricreare quella sfumatura. Il tutto attirava ancora di più l’attenzione su quello che quei due occhi contenevano, su quell’espressione enigmatica, misteriosa, consapevole dell’interesse che suscitava. Sembrava la classica eroina dei grandi romanzi, un’Anna Karenina dei giorni nostri. Era una di quelle rare persone di cui, al solo incrociarne lo sguardo, desiderereste conoscere la storia, perché danno l’impressione di averne una davvero interessante. Benché giovane, aveva l’espressione di una persona che si è resa indipendente, e che è orgogliosa di esserlo. Una che se ne frega del giudizio degli altri, soprattutto se negativo. Una che ha degli obiettivi veri per la sua vita, e non guarderà in faccia a niente e a nessuno pur di realizzarli. Una tipa decisa, sicura di sé, che non ama essere in debito con gli altri. Magari tanta indipendenza le ha portato un po’ di solitudine, ma non fa niente. Meglio passare il venerdì sera da sola nel proprio monolocale, piuttosto che dover rinunciare ai suoi progetti.. per cosa, poi? Per una birra con gli amici?
La felicità? La vita da vivere giorno per giorno? Sciocchezze da idealisti, le ha abbandonate insieme all’adolescenza. La vita è tutta un’altra cosa. Bisogna lottare per andare avanti.


Mercoledì 12 Marzo

Ha l’aria un po’ scontrosa, come se le desse fastidio sentirsi osservata. A prima vista, potrebbe essere benissimo una giovane straniera: capelli di un biondo innaturale (eppure non tinti), incarnato pallido, occhi azzurro ghiaccio che mi lanciano sguardi sospettosi, tra due righe marcate di eye liner nero. Svedese? Tedesca? Una turista in gita a Firenze? Ma poi le poche parole che rivolge alla compagna di viaggio tradiscono origini ben più comuni. E decisamente italiane.
Ha delle buffe scarpe, marroni con dei pois rosa. Guardo meglio e mi viene da sorridere: sulla suola di gomma bianca, con una grafia minutissima, un pennarello indelebile ha fermato chissà quale frase storica.. Cose da ragazzi..
Sfoglia attenta una rivista di moda, fa un commento su un abito. Sembra che se ne intenda. Ora il giornale è chiuso. La ragazza guarda fuori dal finestrino con un’espressione assorta, le cuffie dell’i-pod rosa shocking che spuntano dal caschetto biondo. Dondola leggermente la testa.. chissà che musica sta ascoltando. Chissà da dove viene, e dove va. Il sedile di fronte a lei è letteralmente sommerso di sacchetti e buste di vari negozi.. Giornata di shopping sfrenato?
Scende a Figline. Solo ora noto lo zaino rosso, anche quello ricoperto di scritte a pennarello. Probabilmente è “solo” una liceale che oggi ha deciso di far forca e andare a fare spese.. Eppure, per un attimo, a me era parsa una straniera in gita di piacere nel Bel Paese..


Venerdì 14 Marzo

Sembra una bambina, mentre dorme. Gli occhi chiusi, la bocca un po’ imbronciata e la testa piegata contro il finestrino, non sembra curarsi dell’andatura “barcollante” del treno. Un caschetto castano, con tanto di frangia, le incornicia il viso dai tratti delicati. E che nasino buffo! Ha l’aria di una bambolina corrucciata. Avrà la mia età, ad occhio e croce. Chissà come si chiama, che storia ha, cosa vuole dalla vita. Andrà all’università? E magari ha anche un lavoretto, per essere più indipendente. Forse ha un fidanzato.. speriamo che non la faccia soffrire, come si fa a far soffrire un visino così dolce? Sicuramente avrà un’amica del cuore, una a cui confida le sue speranze ed incertezze.. Me le immagino, sedute in un bar del centro, su quegli sgabelli alti che sembrano dei trespoli, giocando a fare le signore.. Scherzano, una dice una battuta all’orecchio dell’altra, e scoppiano a ridere insieme. Commentano maligne i vestiti delle altre, e sorridono vedendo passare un bel ragazzo. Avranno progettato il loro futuro, sperando di passarne il più possibile insieme. Perché ormai sono grandi per credere nell’amicizia per sempre, quella da frasi fatte sul diario, ma ancora troppo giovani per averne abbandonato l’illusione. Avranno subíto delle delusioni, avranno temuto di perdere la fiducia nelle persone. Ma a vent’anni è facile rialzarsi e guardare al futuro. Sognare un lavoro importante, diventare donne in carriera fasciate in eleganti tailleur, collane di perle e tacchi a spillo. Ma anche una famiglia, certamente. Un marito premuroso, e un figlio.. o, meglio ancora, una figlia, femmina, che venga bella come la mamma. Nei sogni si può avere tutto, quindi meglio far le cose in grande, no?
Chissà se lei sta sognando tutto questo, mentre dorme, con il visino imbronciato..

La sera del 18 maggio 1979..

La sera del 18 maggio 1979 mi caddero gli occhi per terra. Me ne accorsi perché, pur trovandomi in piedi, al centro della stanza, le palme che mi premevano le tempie ed il naso all’insù come se il setto nasale fosse stato preso all’amo e una lenza me lo stesse tirando verso il soffitto, fissavo con un certo orrore un topo che strisciava lungo la parete sotto il letto.
Il mio primo impulso fu di chiamare l’infermiera, perché ci pensasse lei a togliere quel topo. Non mi piaceva l’idea che fosse lì, nella mia stanza. Ma mi bloccai, ancor prima di pronunciare il suo nome, perché mi resi conto che certamente mi avrebbe preso per matto: “Io non vedo nessun topo, te lo devi essere immaginato.. Su, da bravo, non mi far perdere tempo. Ho così tanto da fare, e tu hai sempre voglia di scherzare!”, e, con il suo abituale sorrisetto di compassione, se ne sarebbe andata, lasciandomi con quel topo, che solo i miei occhi per terra potevano vedere. Se le avessi detto che il topo si nascondeva, furbo, sotto il mio letto, mi avrebbe chiesto come facevo a vedere fino a lì, considerata la mia posizione. E se le avessi detto che i miei occhi stavano rotolando sul pavimento, sarebbe rimasta immobile per qualche frazione di secondo, giusto il tempo di assicurarsi di aver sentito bene. Poi, avrebbe inarcato le sopracciglia, irrigidito la schiena e, procedendo in retromarcia, un po’ incerta, sarebbe uscita dalla mia stanza, per poi mettersi a correre lungo il corridoio, l’eco dei suoi zoccoli bianchi sul pavimento, alla ricerca disperata del dottore.
Fu così che reagì la prima volta, quando le dissi che mi era caduto un orecchio. Cavoli, era la prima volta che mi succedeva una cosa del genere, mi aspettavo un po’ di comprensione.. era forse chiedere troppo? E invece no, lei mi fissò con quello sguardo strano, come di rimprovero, quasi mi avesse sentito bestemmiare. Ed era corsa via, tornando solo dopo una decina di minuti insieme al primario.
Quell’uomo aveva sempre l’aria di saperne una più del diavolo, sembrava che nulla lo potesse sorprendere: anche in quella situazione, si limitò a farmi ripetere più e più volte quello che mi era successo: “Dottore, gliel’ho già detto, mi sono accorto che il mio orecchio è caduto ed è uscito, perché qualche minuto fa, pur essendo qui dentro, ho sentito distintamente la conversazione tra lei e l’infermiera. Sì, esatto, era come se il mio orecchio fosse sulla scrivania del suo studio. Sì, dottore, ogni parola, come se le avesse pronunciate qui davanti a me”. Questa cosa sembrava irritarlo un po’, forse era una conversazione privata, non saprei. Sapete, in questa clinica nessuno si prende mai la briga di spiegarci le cose. Fatto sta che mi portarono su, al secondo piano, dove portano quelli che di notte urlano nel sonno. Non fu bello, proprio per niente. Chiesi loro perché dovevo stare lì a soffrire, mentre un mio orecchio se ne vagava chissà dove.. ma anche lì, ovviamente, nessuna risposta.
Mi ci volle un po’ per riprendermi, e nel frattempo aspettai con ansia che il mio orecchio tornasse da me, perché mi spaventava un po’ questa cosa che lui potesse andarsene in giro fuori dall’ospedale, mentre io rimanevo chiuso dentro. Poi una mattina tornò, e sentii tutto quello che lui aveva udito in quei giorni lontano da me: le voci degli uomini, il rumore del mare, le urla del cielo quando si arrabbia. E fu come se una parte di me fosse riuscita a superare le alte mura di recinzione, e avesse ascoltato il mondo che c’era oltre di esse. Quindi, quando, qualche mese dopo, mi cadde la lingua, non mi spaventai troppo.. Non dissi niente a nessuno, e aspettai impaziente il suo ritorno. Seppi allora che aveva parlato con tante persone, ma anche con tanti animali. Aveva mangiato un gelato, aveva baciato, aveva fatto una linguaccia, perché un bambino l’aveva fatta a lei.
Poi fu la volta delle mani, che toccarono ogni superficie, vivente e non, e mi spiegarono cosa si prova ad accarezzare la seta, a passare le dita tra i capelli di una ragazza, ad impiastricciarsi con lo zucchero filato. E i piedi? Ah, i piedi.. quante strade hanno percorso i miei piedi quando se ne andarono! Hanno camminato scalzi sull’erba bagnata, sono stati in bilico su tacchi che sembravano trampoli, hanno dato calci a chi aveva cercato di fermarli.
Ma quella sera del 18 maggio 1979, quando mi caddero gli occhi, fu la volta più emozionante. Dopo aver visto quel topo sotto al mio letto, gli occhi uscirono dalla mia stanza, scesero le scale della clinica e se ne andarono anche loro per il mondo. E quando tornarono, mi fecero vedere il disco rosso del sole tramontare sul mare, e ne rimasi incantato. Vidi nascere un bambino, e vidi morire suo nonno. Poi riconobbi la casa dei miei genitori: vidi mia madre piangere davanti ad una mia foto da ragazzo, e mio padre scrutare di nascosto mio fratello, cercando nei suoi tratti il mio viso. Attraverso quei miei due occhi vagabondi, andai al cimitero, e trovai, tra le tante lastre di marmo, quelle che recavano il nome di mia moglie e mio figlio.
In quel momento, quando, dopo tanti anni, i miei occhi mi fecero vedere quello che non avevo mai più voluto vedere, fu il mio cuore a cadere. Lui non andò in giro per il mondo, ma rimase lì, per terra, immobile. Me ne accorsi perché, da un momento all’altro, non sentii più nulla.”